Qualche dato sull’impatto ambientale
La produzione di abbigliamento è la terza industria manifatturiera dopo l'industria automobilistica e quella tecnologica. Per avere un parametro, la produzione tessile contribuisce al cambiamento climatico più dell'aviazione internazionale e del trasporto marittimo messi insieme.
I vestiti acquistati nell'UE per persona sono aumentati del 40% in pochi decenni, a causa del calo dei prezzi e degli effetti del fast fashion. In particolare l'abbigliamento è responsabile di circa il 10% delle emissioni di gas serra (GHG) e meno della metà degli abiti usati viene raccolta per essere riutilizzata o riciclata quando non serve più, e solo l'1% viene riciclato in nuovi abiti.
Dobbiamo inoltre tenere a mente che la produzione di materie prime, la filatura in fibre, la tessitura di tessuti e la tintura richiedono enormi quantità di acqua e sostanze chimiche.
Per contrastare l’impatto ambientale della moda le nostre migliori armi sono la scelta consapevole, la riparazione o l’upcycling e lo smaltimento etico. E’ chiaro che da consumatori ci troviamo a poter influenza in maniera diretta solo gli ultimi passaggi del ciclo di vita di un prodotto che va dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento/riciclaggio, ma le nostre scelte possono influenzare anche la catena produttiva a monte.
Le 4 R della sostenibilità
RIFIUTARE È qui che inizia il vero impatto. Rifiutando la cultura dell'usa e getta del fast fashion e dicendo no al consumo eccessivo, inviamo un messaggio forte. Stiamo sostenendo la qualità piuttosto che la quantità.
RIDURRE Snellire il guardaroba e concentrarsi su capi versatili. Quando riduciamo gli acquisti di abbigliamento, riduciamo la domanda di produzione eccessiva, con conseguente riduzione del consumo di risorse e della produzione di rifiuti. E’ quindi necessario scegliere i capi di abbigliamento più giusti per la nostra figura creando capsule che si possano modulare a seconda delle stagioni e delle necessità.
RIUTILIZZARE Prolungate la vita dei vostri capi grazie alla creatività e alla cura. Mescolare, riciclare e riparare può dare nuova vita ai vostri indumenti. Ogni volta che scegliete di riutilizzare, contribuite a ridurre i rifiuti nelle discariche.
RICICLARE Il riciclaggio è fondamentale, ma non è una soluzione magica. La trasformazione dei materiali richiede energia e risorse. Scegliere di donare l’abbigliamento a chi ne ha bisogno è la miglior forma di riciclo e solo in ultima istanza gettarlo, magari in un bidone dedicato.
Scegliere i materiali giusti
Già nel 2013 Made-By Environment, un’associazione europea che raggruppa una ventina di brand, ha analizzato le fibre tessili più comunemente utilizzate nell'industria dell'abbigliamento per confrontarne l'impatto ambientale. Il Made-By Benchmark classifica 28 fibre in base a sei criteri: emissioni di gas serra, tossicità per l'uomo, ecotossicità, energia, acqua e suolo. Sulla base di questi parametri, ogni fibra viene classificata e inserita in una delle cinque classi, dalla Classe A alla Classe E.
Classe A - Più sostenibile Nylon riciclato meccanicamente Poliestere riciclato meccanicamente Lino biologico Canapa biologica Cotone riciclato Lana riciclata
Class B - Sostenibile Nylon riciclato chimicamente Poliestere riciclato chimicamente Lyocell di bambù (Monocel®) Cotone organico Lenzing Lyocell (TENCEL®)
Class C - Media Conventional linen Conventional Hemp PLA Ramie
Class D - Problematica Modal® Viscose Polyacrylic Virgin Polyster
Classe D - Molto Problematica Viscosa di bambù Cotone convenzionale Rayon Viscosa generica Spandex (elastan) Nylon vergine lana
Come evitare il greenwashing?
Per riconoscere e poter evitare il greenwashing è fondamentale osservare le strategie comunicative dell’azienda. Si possono riconoscere alcuni campanelli di allarme.
Comunicazione selettiva: Le aziende spesso evidenziano i dati positivi dei loro prodotti dal punto di vista ambientale, evitando intenzionalmente di menzionare quelli negativi.
Mancanza di prove: L'azienda può fare affermazioni sulla sua ecocompatibilità ("prodotto con materiali biologici!") senza condividere certificazioni o altre prove a sostegno
Vaghezza: I marchi possono fare greenwash facendo affermazioni generali e piene di parole ad effetto sulla loro sostenibilità che sono troppo generiche per avere un significato concreto. Esempi sono "nuovo e migliorato", "non tossico" e "realizzato con materiali biodegradabili"
Frasi esagerate: Le aziende che praticano il greenwashing possono utilizzare frasi che, pur essendo tecnicamente vere, danno al consumatore una percezione distorta dei prodotti che sta acquistando. Ad esempio, un'azienda di abbigliamento può dichiarare che le sue camicie sono "ora realizzate con il 50% in più di fibre riciclate", mentre la quantità di fibre riciclate è passata dal 2% al 3% del totale dell'indumento. Vero, ma esagerato come beneficio.
Immagini suggestive: Commercializzare i prodotti con un imballaggio visivamente accattivante. Un'azienda produttrice di tissue potrebbe decorare la sua scatola con foglie verdi per far intendere che la carta è stata raccolta in modo sostenibile, senza però menzionarlo sulla confezione. Alcuni marchi possono incorporare piccole immagini che sembrano loghi ufficiali di certificazioni ambientali.
Questa mini guida che vi abbiamo presentato è il riassunto di testo molto più articolato, la Guida al consumo di moda sostenibile di ReFashion. ReFashion è un progetto di formazione, nato nel contesto dell'unione europea, che mira ad aiutare le PMI e i consumatori a far fronte alle sfide legali e del mercato nel settore della moda e del tessile, fornendo servizi di formazione qualificata in tema di sostenibilità.
Potete scaricare qui la guida completa mentre potrete accedere qui alla piattaforma del progetto ed ai suoi contenuti formativi